Oggi ho deciso di trascrivere la “Lettera aperta per una Economia Umanistica” sul mio blog.
Ho voluto corredarla con il video che il mio staff ha realizzato durante la conferenza in Senato.
Poi ho pensato di condividere con voi il manoscritto che ho prodotto, vivendo forti emozioni e sentimenti contrastanti, per preparare questo momento unico.
Spero che condividiate le mie parole, che ora potrete leggere anche dal manoscritto originale, e che vogliate firmare la mia lettera aperta.
Riprese dal Senato della Repubblica del 29 gennaio 2019
Spero che esista al mondo una autorità inquirente, un magistrato che abbia titolo, ma prima ancora il coraggio di verificare ciò che sto per dire. Se cioè corrisponda a verità ciò che ho letto su organi di stampa, in articoli presto derubricati a notizie di secondo piano per addetti ai lavori, perché saremmo di fronte al più grande inganno finanziario della seconda decade del ventunesimo secolo.
La Banca Centrale Europea, il massimo organo di regolazione e di credibilità del sistema monetario e la sua vigilanza, che avrebbe il compito di vigilare sulla stabilità del sistema bancario, da anni sta guidando, con norme e regolamenti, le aggregazioni a fusioni bancarie, mediante stress test, volti a decidere chi debba essere fuso e sparire dal mercato. Se fosse vero che, dal 2014, tali analisi non siano state mai fatte dalla Banca Centrale o suoi uffici, ma appaltate, con modalità peraltro non trasparenti, a soggetti privati, investitori esteri, sarebbe un fatto di gravità inaudita e senza precedenti. Affidare a un operatore privato speculativo, BlackRock, un compito di vigilanza appare atto di palese conflitto di interessi.
Fuori dai tecnicismi giuridici, questo significa che tutto quanto avvenuto in questi anni nel mio Paese, l’Italia, in ordine ai riassetti proprietari del sistema bancario, si baserebbe su atti dettati da ragioni di necessità e urgenza basati su fondamenti tecnici non solo inesistenti, ma potenzialmente distorsivi del mercato. Milioni di risparmiatori e imprese hanno versato lacrime e sangue, letteralmente, per le conseguenze sia delle restrizioni del credito, sia per la distruzione del risparmio garantito dalla Costituzione Italiana.
Signori ignoti che da Paesi lontani movimentate la finanza mondiale, voi fate scrivere di agire per la stabilità del sistema bancario ma, nei fatti, voi rubate la vita e il futuro della povera gente, costringendo le imprese a chiudere, imprenditori a impiccarsi e darsi fuoco, anziani a vedere bruciare i risparmi di tutta una vita, fregati da tecnicismi giuridici incomprensibili, giovani ad emigrare perché avete gettato la liquidità sui tavoli delle borse, nei derivati e nei fondi speculativi, togliendola a chi sostiene i posti di lavoro. Voi fate sproloquiare astutamente di andare avanti, di riforme, di progresso, e fate raccontare che questo sarebbe l’Unione Bancaria Europea. In realtà non fate sapere al popolo le cose come stanno, e cioè che l’unico modo di procedere sarebbe quello di fermare tutto, fermare l’ingiustizia e tornare a un mondo giusto, ad una economia umanistica, nella quale sia l’uomo, e non il mercato, il cuore del nostro agire. Questa sarebbe la cosa giusta da fare, perché ciò che voi chiamate libero mercato altro non è che un sistema prevaricatorio di pochi che, mediante informazioni assunte in un sistema di relazioni sleali, si arricchiscono a dismisura ai danni di molti: i poveri, i semplici, le persone comuni, gli ultimi.
Signori politici, sembra che vi stiate occupando di questioni tecniche, tralasciando l’attacco al tema strategico. Scopo di una Banca Centrale è creare e gestire i soldi di un popolo. Per questo, la Banca Centrale deve essere detenuta dal popolo. Se invece, come accade ora, lo Stato, che quel popolo rappresenta, prende a prestito il denaro da un sistema di banche private, che a loro volta lo moltiplicano come i pani e i pesci, allora il governo sarà costretto a vessare il popolo di tasse e balzelli per ripagare il profitto indebito privato. Il cuore del problema politico è che non siamo più in una economia a regia pubblica, ma privata. Così stando le cose, siamo in una democrazia apparente, ma non di fatto, al punto che diventa perfettamente inutile e financo illusorio il diritto e l’esercizio del voto, poiché nessun governo, servo del sistema bancario privato, sarò mai in grado di esercitare il mandato del popolo sovrano. Signori politici, se noi non decidiamo di fare, finalmente, ciò che è giusto, costi quel che costi, invece di ciò che è ragionevole politicamente, allora non ci sarà mai speranza per la povera gente. Dobbiamo concentrarci sulle soluzioni alle ingiustizie e se il nostro sistema regolatorio non consente di trovare una soluzione, allora, ebbene, se ne deve convenire che si debba radere a zero questo sistema di regole ingiuste e crearne altre più eque. Lo dobbiamo fare perché non è più tollerabile, sull’altare della presunta efficienze, il sacrificio di tanti per il privilegio ingiusto di pochi.
So bene a quali rischi mi stia esponendo, anche per la credibilità correlata alla mia professione, nella quale quasi tutti recitano una diversa litania, per convenienza o interesse. Non mi interessa essere deriso; mi interessa essere vero, Ed è vero che, se la sofferenza di tanti è tollerata per il privilegio di pochi, allora questo sistema economico è, semplicemente, sbagliato.
Signori privati, voi oscuri demiurghi di sventura, voi dioscuri della povertà, voi saccenti profeti di tristezza, voi avete ignorato per vostro tornaconto il pianto di un popolo per anni, e lo ignorerete ancora, ma io sono qui a dirvi, ad annunciarvi, come ultimo dei cittadini, che il popolo sta cominciando a capire e che, quando il popolo si muove, le cose cambiano; e per questo semplice fatto cambieranno, che a voi piaccia, oppure no. Succederà perché, al di là di ciò che pensano i neoliberisti che ci raccontano da decenni che il pianeta sia guidato dai mercati, al contrario il mondo è guidato da tempo immemore dalla libera mente dell’uomo. Quella mente, per secoli, ha sempre condotto l’umanità sui binari da cui siamo usciti. Binari diritti, che non consentono una deroga di viaggio: la direzione si chiama morale.
Signori politici, voi siete degli illusi a pensare di potere risolvere i problemi del nostro Paese con gli accordi, con le deroghe, le riforme negoziate con l’Europa. E’ finito il tempo del politico; è giunto il tempo dello statista. Qui serve qualcuno che si alzi in piedi e dica, semplicemente, che l’Italia, erede di un pensiero millenario che parte dall’antica Grecia e attraversa il mondo latino e poi il razionalismo occidentale, è portatrice di una rivoluzione culturale. Quell’uomo dovrò dire al mondo che il sistema di pensiero che è alla base del modello economico degli ultimi quarant’anni non va riformato o migliorato con mediazione o negoziazione; esso va raso a zero.
Ci sono momenti nella storia nei quali, per procedere, bisogna distruggere fino alle fondamenta per poi ricostruire, su basi diverse. Io penso che fino a che il mondo politico non affronterà questa, che è la principale delle questioni, saremo sempre qui a vivacchiare da una elezione fintamente democratica alla successiva. Solo che, nei lustri, le generazioni italiane invecchiano, le donne incinte con gravidanza a rischio sono mandate a casa perché gli ospedali devono risparmiare, gli anziani devono rivolgersi a sanità private per evitare code interminabili, milioni di poveri non arrivano a fine mese e rovistano nei cassonetti, migliaia di imprenditori italiani si sono dati fuoco o impiccati per motivi economici, centinaia di migliaia di italiani giovani e per lo più acculturati fuggono a cercare lavoro all’estero, mentre i nostri telegiornali ci parlano solo di barconi.
Il sistema economico comporta una lotta che si ripete da decenni, mentre noi siamo qui a dibattere di sciocchezze, di percentuali di prodotto interno lordo, tra poltrone di velluto. Ma non capite che occorre alzarsi in piedi e dire, semplicemente; basta? Abbiamo un mondo in cui la gente crede davvero che non ci siano i soldi per fare le cose, quando la verità è che le cose si fanno col lavoro dell’uomo e che i soldi si creano premendo un bottone. Il problema è chi ha in mano quel bottone. Non è più tollerabile che il bottone della moneta sia nelle mani private: noi vogliamo che la mano che preme quel bottone torni a essere pubblica.
Abbiamo un mondo in cui la gente pensa davvero che il problema sia il debito pubblico, e nessuno ha compreso che esso è l’altro lato della medaglia che si chiama ricchezza privata. Il problema è chi detiene quel debito: noi vogliamo tornare ad avere nelle case italiane quel debito, come risparmiatori italiani, perché quel debito è contratto per la nostra casa, che si chiama Patria, e non siamo disposti a vendere il Colosseo o gli Uffizi a banche estere private, perché i sonetti di Dante e le opere di Cicerone non sono in vendita, poiché non è in vendita la nostra memoria. Non entrerò quindi nel tecnicismo delle scelte economiche necessarie per liberarsi dalla schiavitù dello spread, ma dico chiaramente ai politici che per risollevare l’Italia servirebbe un piano di espansione di spesa pubblica che le attuali regole europee non consentono. Siete degli illusi o dei pusillanimi a pensare di potere trattare con una tigre. La tigre si doma con la forza. La nostra forza è quella della ragione e della giustizia.
Voi dovete fare una e una sola cosa: chiedere a gran voce che l’economia torni sotto la morale. Per millenni, da Aristotele ad Adam Smith, tutti i grandi economisti erano filosofi morali. Questo è il tema cruciale della rivoluzione economica del ventunesimo secolo. Oggi ciò che domina il mondo è la finanza, che condiziona l’economia che ricatta la politica, al di fuori della morale. In questo schema le vostre tattiche sulle pensioni a quota cento o sul reddito di cittadinanza sono visioni di breve termine, collocate nel battito di ciglia tra un sondaggio e il successivo. So bene cosa state pensando: parlare di morale come struttura sovra-economica non porta voti, perché la gente non capisce. Non curatevi dei sondaggi, se avete a cuore il vostro Paese e sappiate che la gente è buona e, se voi parlerete il linguaggio delle persone e non delle burocrazie, capisce benissimo. La rivoluzione culturale alla base di qualsiasi speranza di salvezza non può che passare quindi da un manifesto per l’economia umanistica.
L’economia umanistica è la sfida di questo secolo, che seppellirà come incidente storico quella capitalistica. L’economia umanistica è ancella della filosofia morale, ma comanda la finanza, poiché la moneta è solo il prezzo delle cose, ma l’anima dell’uomo non è in vendita. Io sogno un manifesto per l’economia umanistica che, partendo da qui, da poche persone, dall’Italia, venga sottoscritto da tanti cittadini italiani e poi magari europei e forse un giorno del mondo. Il cuore del marcio degli ultimi quarant’anni almeno è il fatto che abbiamo costruito una economia a favore di alcune persone, e non delle persone.
Il cuore del documento di questo manifesto per l’economia umanistica deve essere l’uomo al posto del mercato, il lavoro in luogo del capitale, la produzione reale in sostituzione dei pezzi di carta. Se non avremo il coraggio di mettere nell’agenda politica al primo posto un manifesto per l’economia umanistica, saremo sempre schiavi di chi fa scrivere che il Botswana ha un rating superiore all’Italia perché ha miniere di diamanti. Dobbiamo spiegare al mondo che l’Italia vuole tornare a investire, bruciando le attuali regole del gioco sull’altare della giustizia, nelle proprie campagne, nei nostri campi, perché sono i nostri poeti che rispondono all’ignoranza dei diamanti del Botswana. Dai diamanti non nasce niente – cantava un italiano – dal letame nascono i fior.
Io sogno che sufficienti persone sottoscrivano idealmente questa lettera aperta, affinché il mondo politico italiano capisca che non è più il tempo di vivacchiare, ma il tempo di tornare a vivere. Troppe persone stanno cominciando nel mondo a intuire la verità sotto il velo dell’inganno. Prima o poi, da qualche parte, un manifesto per una economia umanistica nascerà. Nascerà perché il cuore di un popolo per decenni ingannato e oppresso non può che rinascere orgogliosamente dalle proprie ceneri. Quando, sul braciere di un manifesto per l’economia dell’uomo, saranno incenerite le carte che ci tengono in catene sotto quelle del capitale, sarà un giorno di giubilo. Io sogno che quel giorno nasca qui, da un piccolo Paese che tanto contributo ha dato nei millenni al pensiero dell’uomo. Io non so se vedrò da vivo quel giorno. So però che quello sarà un giorno radioso non soltanto per gli italiani che avranno insegnato al mondo ad alzarsi in piedi.
Quello sarà un attimo, indelebile, nella storia eterna dell’umanità.
Pavia, 26 gennaio 2019
Valerio Malvezzi
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Valerio Malvezzi